. “… Mamma, mormora la
bambina… per la tua piccolina, non compri mai balocchi, MAMMA TU COMPRI
SOLTANTO PROFUMI PER TE!”
A questa canzone antica, che evidentemente devo aver
ascoltato da piccola, devo probabilmente la mia scelta di non fare figli!
Ricordo infatti il senso di oppressione che mi pervadeva ascoltando queste
parole, e ricordo molte nettamente la mia identificazione non nella bambina ma
nella madre, tiranneggiata dal senso di colpa perché aveva osato comprare “profumi”
per se stessa… “se questo vuol dire fare dei figli, ho pensato con l’ arguzia
di una bambina di due anni, allora meglio non farne!
Questo lo spunto di apertura di una riflessione a tutto
campo sul tema del senso di colpa, l’arma
più potente in mano al patriarcato contro le donne, potente proprio perché fortemente
interiorizzata
Come funziona il senso
di colpa
Il meccanismo è il seguente: si tratta di costruire un
modello a cui ci si deve adeguare, formato da regole comportamentali,
costrutti, stati emotivi, insomma, comprendente tutto ciò che attiene alla persona,
che sia in linea con i principi e gli interessi del potere dominante (in questo
caso il patriarcato, e la chiesa cattolica che ne rappresenta il braccio armato
più pericoloso)
Tal insieme di modelli vengono
presentati come naturali e normali, oltrechè per lo più INNATI, cosa che
rappresenta una vera e propria mistificazione,
essendo invece tali modelli creati e
imposti e non presenti naturalmente
nelle donne stesse
L’efficacia di tali modelli è data dal fatto che essi
vengono INTERIORIZZATI, ossia
presentati in maniera diffusa e capillare già dal momento prelogico della vita
della persona, quando tutto ciò che arriva viene assorbito come una spugna. Veicolo
di tale interiorizzazione sono le forze retrive della società, l’educazione
sessista e, prima fra tutte, la Chiesa.
La donna che si trova nella situazione per cui esiste un
modello mistificato e d interiorizzato, sperimenta su di se il fatto incontrovertibile
(per quanto puoi negare di provare alcuni sentimenti e sensazioni, non pupi
farli cessare di esistere e di agire dentro di te!) di non corripondere affatto al modello prescritto, in quanto non
sta provando, facendo, sentendo, ciò che dovrebbe provare, sentire, fare in
tale situazione.
Data però la mistificazione iniziale che vuole tale fare,
sentire, provare come “INNATO”, la donna pensa di essere SNATURATA, in quanto
un comportamento INNATO non è presente in lei, oltre che INADEGUATA in quanto
non è capace di fare, sentire, provare ciò che TUTTI gli altri provano fanno e
sentono.
Ovviamente non c’è
mistificazione che si rispetti senza TABU’, ed è proprio grazie al tabù che
si innesca su queste tematiche che ben poche vittime riescono a confrontarsi
con altri sull’argomento! Se ciò accadesse probabilmente la mistificazione
verrebbe smascherata più efficacemente. Invece NO, ognuna resta sola con la
propria inadeguatezza e con la propria colpevolezza di essere “fatta male” “cattiva”
“snaturata”
Così la donna si sente
in colpa perché non è una buona madre come “dovrebbe” essere per natura, perché
addirittura abortisce, senza per questo cadere in depressione, perché crede di
essere padrona del proprio corpo mentre esso non è altro che l’inizio di ogni
colpa, e via così…
Analizziamo ora ciascuno di questi momenti per scoprire come il senso di colpa e di
inadeguatezza agisce allo scopo di impedire alla donna di autodeterminarsi
con serenità nei momenti basilari della propria esistenza
IL MITO DELLA
MATERNITA’
La principale fonte
di sensi di colpa così descritti è quella che attiene al mito della maternità.
Il principale costrutto che regge l’intero mito è
rappresentato dalla convinzione, fortemente interiorizzata nella nostra cultura
cattolica, dell’esistenza dell’ISTINTO
MATERNO, e che esso, come istinto appunto, sia INNATO
Certamente in natura esiste una spinta all’accudimento della
prole che si presenta innata nella maggior parte degli animali, sorretta però
dal particolare aspetto dei cuccioli di ogni specie, che con le loro forme
tondeggianti evocano sensazioni di
tenerezza e protezione. La natura, per così dire ci ha pensato lei stessa a far
sì che i cuccioli, animali indifiesi, con il loro aspetto facciano scattare il
senso di accudimento nell’animale adulto.
Fin qui nulla di strano.
Ma l’istinto materno
che vogliono contrabbandarci va ben oltre!
Esso si basa su di un altro assunto caro al patriarcato,
ossia che la donna fondi l’unica sua
ragione di esistere nella procreazione, e che quindi soltanto al momento
della maternità essa possa essere veramente felice e appagata.
In accordo con tale assunto nasce il modello mistificato delle “madre perfetta”, che già in gravidanza sprizza serenità e gioia da tutti i pori, che non ha MAI nessun sentimento ambivalente nei confronti del suo corpo che sta cambiando né tantomeno nei confronti del nascituro, che al momento del parto soffre, ma con goia, e che quando il bambino è nato, da quel momento in poi il sentimento di felicità, accettazione, amore a prima vista sarà così forte da annientare ogni altro sentimento!
Ma la pratica clinica, e l’esperienza di milioni di madri
dicono invece il contrario, raccontano di sensazioni di perdita del controllo
del proprio corpo, di ambivalenza estrema nei confronti del nascituro e del
bambino, di paura, di sentimento di estraneità, depressione, rifiuto del
bambino, come fatti all’ordine del giorno.
Ma la mistificazione insita nel mito della maternità impone l’esistenza di un istinto INNATO in ogni donna! Ecco che la madre che non prova affatto tale felicità, che p impaurita, ambivalente, ossia la madre NORMALE, perché questa è la normalità, sente che qualcosa in lei non va….. si domanda: ma se TUTTE le madri amano senza ombre e senza ambivalenze il loro bambino, sono pervase dalla serenità della gravidanza, aspettano il parto come una festa e poi si dedicano al loro pargoletto senza più vedere se stesse, allora Io che non sono così, sono UNA MADRE SNATURATA!!!!!
Ed ecco il senso di colpa, quello, quello profondo,
insidioso perché mina alle fondamenta dell’autostima e dell’armonia
individuale, che fa il suo ingresso in pompa magna e si appropria della
coscienza della donna… fino ad annientare ogni capacità di reazione.
Basterebbe
confrontarsi con le altre madri, per sapere che non si è sole a provare tali
sentimenti ambivalenti, ma che TUTTE le altre, n un modo o nell’altro li hanno
provati, e che quindi la bufala dell’istinto materno innato è appunto una
bufale, ma l’enorme TABU’ che circonda questa sfera lo impedisce. Ogni donna
resta sola con i suoi fantasmi, con la sua sensazione di inadeguatezza, con la
sua convinzione di essere una madre imperfetta e cattiva, che compra profumi
invece che balocchi.
L’ABORTO
Il lato più perverso dell’oppressione
patriarcale attraverso il senso di colpa si raggiunge riguardo all’aborto.
Se infatti la mistificazione tende a far sentire le donne
cattive madri, o addirittura madri snaturate se non attemperano al mito della
maternità sopra esposto, a maggior ragione agisce con forza annientatrice su
quelle donne che osano interrompere la gravidanza!
Intanto queste tapine hanno osato contravvenire al primo precetto patriarcal - clericale
che vede il destino della donna esaurirsi completamente nella procreazione:
esse hanno infatti fatto sesso senza la volontà di procreare!
Poi, ovviamente, sono mostre assassine, che uccidono poveri
feti inermi facendoli a pezzi.
Ma tutto questo non basta, c’è un’ulteriore modello
mistificato che incombe su di loro e di questo voglio parlare qui, il modello che prevede come “naturale” che
la donna che interrompe la gravidanza soffra turbe psichiche che la
accompagneranno poi per tutta la sua vita, dalle quali non si riprenderà
mai più, anche se facesse 20 anni di analisi!
Nell’articolo “Aborto, le chiacchiere strumentali sui rischi psicologici nelle donne”
, Lisa Canitano descrive bene questo fenomeno, esemplificandolo in questo modo .
"non c'è niente di più colpevolizzante per le
donne che veicolare l'idea che dovrebbero colpevolizzarsi"
Il
meccanismo perverso è sempre lo stesso : ti inculcano che se abortisci penerai
in eterno, che l’esperienza lacerante ti perseguiterà per sempre, che non
riuscirai più ad avere una normale vita affettiva, ne tantomeno ad essere una
buona madre in futuro, fortunatamente
questo non è così vero, soprattutto nel caso di donne consapevoli che scelgono
di interrompere la gravidanza in modo perfettamente cosciente e ragionato, di certo non è una passeggiata, ma non restano marchiate a vita nella loro
psiche.
Ma
ecco che si insinua anche in questo caso, come nella gravidanza, il dubbio
strisciante, se io non sento questo malessere opprimente, se ho superato lo
choc e ho una vita normale, pur avendo abortito, mentre è “NATURALE” restare infelice a vita e soffrire di
turbe inenarrabili, allora sono IO ad
essere insensibile, sono io che disprezzo la vita umana, sono io ad essere un
mostro snaturato!
E ci risiamo
La cosa più triste è che questa concezione viene perorata e
diffusa anche tramite molti cosidetti “movimenti femminili” che si producono
nella descrizione di improbabili ricerche scientifiche a sostegno del mito dell’insuperabile trauma
da aborto, ricerche che l’articolo citato sopra cerca di smentire.
Anche in questo caso, basterebbe confrontarsi, ma forse qui
il tabu è ancora più forte che nel caso della gravidanza, e ogni donna cova
dentro di se il senso di colpa di non
essere in colpa.
Perverso ma tristemente
vero
Basterebbe ragionare sul fatto che, mentre si fanno crociate
a difesa dei feti, bambini già nati, che sorridono, parlano, camminano, sentono
e provano sentimenti vengono lasciati morire perché non viene permessa la
ricerca sulle cellule staminali fetali, le uniche in grado davvero di debellare
alcune malattie oggi incurabili.
E’ sconcertante l’ipocrisia di tali scelte, ma la società
tutta sembra metabolizzarle senza problema, acriticamente, lasciando le donne sole ancora
una volta a lottare contro i loro fantasmi.
E’ ora di dire basta e smascherare questi meccanismi, è ora
quindi di far circolare più possibile le voci critiche rispetto ai grandi miti
che aleggiano intorno alla questione di genere, riconoscendone il loro vero
volto: quello di trappole escogitate dal patriarcato, che, attraverso il suo
braccio armato costituito dalla chiesa cattolica , costringono da secoli la
donna a vivere nell’eterno senso di colpa.
Veronica Vega
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