martedì 11 settembre 2012

Profumi e balocchi: l'eterno senso di colpa


. “… Mamma, mormora la bambina… per la tua piccolina, non compri mai balocchi, MAMMA TU COMPRI SOLTANTO PROFUMI PER TE!”


A questa canzone antica, che evidentemente devo aver ascoltato da piccola, devo probabilmente la mia scelta di non fare figli! Ricordo infatti il senso di oppressione che mi pervadeva ascoltando queste parole, e ricordo molte nettamente la mia identificazione non nella bambina ma nella madre, tiranneggiata dal senso di colpa perché aveva osato comprare “profumi” per se stessa… “se questo vuol dire fare dei figli, ho pensato con l’ arguzia di una bambina di due anni, allora meglio non farne!
Questo lo spunto di apertura di una riflessione a tutto campo sul tema del senso di colpa, l’arma più potente in mano al patriarcato contro le donne, potente proprio perché fortemente interiorizzata



Come funziona il senso di colpa

Il meccanismo è il seguente: si tratta di costruire un modello a cui ci si deve adeguare, formato da regole comportamentali, costrutti, stati emotivi, insomma, comprendente tutto ciò che attiene alla persona, che sia in linea con i principi e gli interessi del potere dominante (in questo caso il patriarcato, e la chiesa cattolica che ne rappresenta il braccio armato più pericoloso)

Tal insieme di modelli vengono presentati come naturali e normali, oltrechè per lo più INNATI, cosa che rappresenta una vera e propria mistificazione, essendo  invece tali modelli creati e imposti  e non presenti naturalmente nelle donne stesse

L’efficacia di tali modelli è data dal fatto che essi vengono INTERIORIZZATI, ossia presentati in maniera diffusa e capillare già dal momento prelogico della vita della persona, quando tutto ciò che arriva viene assorbito come una spugna. Veicolo di tale interiorizzazione sono le forze retrive della società, l’educazione sessista e, prima fra tutte, la Chiesa.

La donna che si trova nella situazione per cui esiste un modello mistificato e d interiorizzato, sperimenta su di se il fatto incontrovertibile (per quanto puoi negare di provare alcuni sentimenti e sensazioni, non pupi farli cessare di esistere e di agire dentro di te!) di non corripondere affatto al modello prescritto, in quanto non sta provando, facendo, sentendo, ciò che dovrebbe provare, sentire, fare in tale situazione.
Data però la mistificazione iniziale che vuole tale fare, sentire, provare come “INNATO”, la donna pensa di essere SNATURATA, in quanto un comportamento INNATO non è presente in lei, oltre che INADEGUATA in quanto non è capace di fare, sentire, provare ciò che TUTTI gli altri provano fanno e sentono.

Ovviamente non c’è mistificazione che si rispetti senza TABU’, ed è proprio grazie al tabù che si innesca su queste tematiche che ben poche vittime riescono a confrontarsi con altri sull’argomento! Se ciò accadesse probabilmente la mistificazione verrebbe smascherata più efficacemente. Invece NO, ognuna resta sola con la propria inadeguatezza e con la propria colpevolezza di essere “fatta male” “cattiva” “snaturata”

Così la donna si sente in colpa perché non è una buona madre come “dovrebbe” essere per natura, perché addirittura abortisce, senza per questo cadere in depressione, perché crede di essere padrona del proprio corpo mentre esso non è altro che l’inizio di ogni colpa, e via così…

Analizziamo ora ciascuno di questi momenti per scoprire come il senso di colpa e di inadeguatezza agisce allo scopo di impedire alla donna di autodeterminarsi con serenità nei momenti basilari della propria esistenza



IL MITO DELLA MATERNITA’




La principale fonte di sensi di colpa così descritti è quella che attiene al mito della maternità.

Il principale costrutto che regge l’intero mito è rappresentato dalla convinzione, fortemente interiorizzata nella nostra cultura cattolica,  dell’esistenza dell’ISTINTO MATERNO, e che esso, come istinto appunto, sia INNATO
Certamente in natura esiste una spinta all’accudimento della prole che si presenta innata nella maggior parte degli animali, sorretta però dal particolare aspetto dei cuccioli di ogni specie, che con le loro forme tondeggianti evocano  sensazioni di tenerezza e protezione. La natura, per così dire ci ha pensato lei stessa a far sì che i cuccioli, animali indifiesi, con il loro aspetto facciano scattare il senso di accudimento nell’animale adulto.
Fin qui nulla di strano.

Ma l’istinto materno che vogliono contrabbandarci va ben oltre!

Esso si basa su di un altro assunto caro al patriarcato, ossia che la donna fondi l’unica sua ragione di esistere nella procreazione, e che quindi soltanto al momento della maternità essa possa essere veramente felice e appagata.

In accordo con tale assunto nasce il modello mistificato delle “madre perfetta”, che già in gravidanza sprizza serenità e gioia da tutti i pori, che non ha MAI nessun sentimento ambivalente nei confronti del suo corpo che sta cambiando né tantomeno nei confronti del nascituro, che al momento del parto soffre, ma con goia, e che quando il bambino è nato, da quel momento in poi il sentimento di felicità, accettazione, amore a prima vista sarà così forte da annientare ogni altro sentimento!

Ma la pratica clinica, e l’esperienza di milioni di madri dicono invece il contrario, raccontano di sensazioni di perdita del controllo del proprio corpo, di ambivalenza estrema nei confronti del nascituro e del bambino, di paura, di sentimento di estraneità, depressione, rifiuto del bambino, come fatti all’ordine del giorno.

Ma la mistificazione insita nel mito della maternità impone l’esistenza di un istinto INNATO in ogni donna! Ecco che la madre che non prova affatto tale felicità, che p impaurita, ambivalente, ossia la madre NORMALE, perché questa è la normalità, sente che qualcosa in lei non va….. si domanda: ma se TUTTE le madri amano senza ombre e senza ambivalenze il loro bambino, sono pervase dalla serenità della gravidanza, aspettano il parto come una festa e poi si dedicano al loro pargoletto senza più vedere se stesse, allora Io che non sono così, sono UNA MADRE SNATURATA!!!!!


Ed ecco il senso di colpa, quello, quello profondo, insidioso perché mina alle fondamenta dell’autostima e dell’armonia individuale, che fa il suo ingresso in pompa magna e si appropria della coscienza della donna… fino ad annientare ogni capacità di reazione. 
Basterebbe confrontarsi con le altre madri, per sapere che non si è sole a provare tali sentimenti ambivalenti, ma che TUTTE le altre, n un modo o nell’altro li hanno provati, e che quindi la bufala dell’istinto materno innato è appunto una bufale, ma l’enorme TABU’ che circonda questa sfera lo impedisce. Ogni donna resta sola con i suoi fantasmi, con la sua sensazione di inadeguatezza, con la sua convinzione di essere una madre imperfetta e cattiva, che compra profumi invece che balocchi.


L’ABORTO


Il lato più perverso dell’oppressione patriarcale attraverso il senso di colpa si raggiunge riguardo all’aborto.

Se infatti la mistificazione tende a far sentire le donne cattive madri, o addirittura madri snaturate se non attemperano al mito della maternità sopra esposto, a maggior ragione agisce con forza annientatrice su quelle donne che osano interrompere la gravidanza!
Intanto queste tapine hanno osato  contravvenire al primo precetto patriarcal - clericale che vede il destino della donna esaurirsi completamente nella procreazione: esse hanno infatti fatto sesso senza la volontà di procreare!
Poi, ovviamente, sono mostre assassine, che uccidono poveri feti inermi facendoli a pezzi.
Ma tutto questo non basta, c’è un’ulteriore modello mistificato che incombe su di loro e di questo voglio parlare qui, il modello che prevede come “naturale” che la donna che interrompe la gravidanza soffra turbe psichiche che la accompagneranno poi per tutta la sua vita, dalle quali non si riprenderà mai più, anche se facesse 20 anni di analisi!

Nell’articolo “Aborto, le chiacchiere strumentali sui rischi psicologici nelle donne”

, Lisa Canitano descrive bene questo fenomeno, esemplificandolo in questo modo .


 "non c'è niente di più colpevolizzante per le donne che veicolare l'idea che dovrebbero colpevolizzarsi"

 

Il meccanismo perverso è sempre lo stesso : ti inculcano che se abortisci penerai in eterno, che l’esperienza lacerante ti perseguiterà per sempre, che non riuscirai più ad avere una normale vita affettiva, ne tantomeno ad essere una buona madre in futuro,  fortunatamente questo non è così vero, soprattutto nel caso di donne consapevoli che scelgono di interrompere la gravidanza in modo perfettamente cosciente e  ragionato, di certo non è una passeggiata, ma  non restano marchiate a vita nella loro psiche.



 

Ma ecco che si insinua anche in questo caso, come nella gravidanza, il dubbio strisciante, se io non sento questo malessere opprimente, se ho superato lo choc e ho una vita normale, pur avendo abortito, mentre è “NATURALE”  restare infelice a vita e soffrire di turbe  inenarrabili, allora sono IO ad essere insensibile, sono io che disprezzo la vita umana, sono io ad essere un mostro snaturato!

 

E ci risiamo

 

La cosa più triste è che questa concezione viene perorata e diffusa anche tramite molti cosidetti “movimenti femminili” che si producono nella descrizione di improbabili ricerche scientifiche  a sostegno del mito dell’insuperabile trauma da aborto, ricerche che l’articolo citato sopra cerca di smentire.
Anche in questo caso, basterebbe confrontarsi, ma forse qui il tabu è ancora più forte che nel caso della gravidanza, e ogni donna cova dentro di se il senso di colpa di non essere in colpa.

Perverso ma tristemente vero

Basterebbe ragionare sul fatto che, mentre si fanno crociate a difesa dei feti, bambini già nati, che sorridono, parlano, camminano, sentono e provano sentimenti vengono lasciati morire perché non viene permessa la ricerca sulle cellule staminali fetali, le uniche in grado davvero di debellare alcune malattie oggi incurabili.
E’ sconcertante l’ipocrisia di tali scelte, ma la società tutta sembra metabolizzarle senza problema,  acriticamente, lasciando le donne sole ancora una volta a lottare contro i loro fantasmi.
E’ ora di dire basta e smascherare questi meccanismi, è ora quindi di far circolare più possibile le voci critiche rispetto ai grandi miti che aleggiano intorno alla questione di genere, riconoscendone il loro vero volto: quello di trappole escogitate dal patriarcato, che, attraverso il suo braccio armato costituito dalla chiesa cattolica , costringono da secoli la donna a vivere nell’eterno senso di colpa.

Veronica Vega


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